Teatro

La triste evanescenza dei sogni

La triste evanescenza dei sogni

Il pubblico entra. Già sul palco, Nasten’ka sta aspettando qualcuno. Scruta con attenzione e nervosismo chi entra. Ancora niente. Nessuna notizia dell’uomo che un anno fa le ha promesso il suo amore. E così, dopo un’altra sera trascorsa ad aspettare invano, incontra lui, il Sognatore. Un uomo timido, schiacciato dalla sua capacità di immaginare mondi diversi, altri, come intimamente legati alla realtà del quotidiano. Un uomo che non riesce più a convivere con la forza dei suoi sogni, ansioso e insonne perché troppo pieno della gioia della possibilità immaginativa. Il Sognatore si confida con Nasten’ka, si sente per la prima volta compreso da quest’anima indagatrice, curiosa, a tratti impertinente. E si innamora. Mentre lei continua ad aspettare il suo viaggiatore, ogni sera, con tenacia e speranza, con crescente disperazione. Si crea un legame diretto, fondato sulla fiducia, sulla confidenza, sulla condivisione di pensieri e sensazioni. Nasten’ka e il Sognatore crescono insieme. Poi, dopo l’ennesima serata di delusione, il Sognatore le dichiara il suo amore - timidamente, quasi scusandosi per il suo egoismo; Nasten’ka, sentendosi sola e abbandonata, cede e lo illude. Il sogno non dura che pochi istanti. Il viaggiatore torna, in silenzio, ricompare e il Sognatore resta solo, con un sogno disintegrato tra le dita. “Un intero attimo di beatitudine! È forse poco, anche se resta il solo in tutta la vita di un uomo?”. Il sogno si chiude, svanisce. Effimero e fragile.

“Le notti bianche”, romanzo di Dostoevskij, diventa spettacolo. Un regia pulita, chiara, delicata, quella di Alberto Oliva, che porta avanti questo progetto già da un anno, dalla vittoria del bando “Presenze.2” indetto dal Teatro Filodrammatici (e sfociato, nel marzo 2010, nello spettacolo "Notti Bianche. 3 studi per una storia di 4 notti"). In scena solo una panchina, un lampione e una ringhiera. Nella mente del pubblico un lungo fiume, qualche albero, l’atmosfera delle fredde notti di Pietroburgo. Vanessa Korn e Stefano Cordella ci mostrano due “anime belle”, due giovani sognatori alle prese, ognuno a suo modo,  con i sentimenti, con il sottile confine tra il sogno e la realtà e - come dice Oliva - con “lo smarrimento, la paura, il senso di instabilità e disequilibrio, la perdita dei punti di riferimento e l’abbandono alla libertà dei sensi” che il salto tra essi produce. Due universi che arrivano a fondersi, a penetrarsi: vederli tornare alla realtà delude, fa sorridere amaramente, riporta ognuno di noi alle difficoltà che ci sono, sempre, nelle relazioni con le persone e con i sogni. Uno spettacolo elegante, sincero e sentito, che non manca di comicità. Lo spettacolo, in questa versione completa, ha anche  ricevuto una menzione speciale "menzione speciale" al Premio Nazionale Giovani Realtà del Teatro 2010, dell'Accademia Teatrale Nico Pepe, per la “composizione attenta e puntuale, per la chiarezza espressiva e l’efficacia del gioco attoriale”.
In scena al Teatro Oscar fino al 23 gennaio.